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RIFLESSIONI SULLA VIOLENZA FAMILIARE E DI COPPIA - FURIO RAVERA - 22 OTTOBRE 2016

Sulla scena solo Carmen e Don Josè. L'atmosfera è cupa. Carmen con fierezza afferma la sua libertà di amare chi vuole:

 

Carmen

 

Jamais Carmen ne cédera! Libre elle est née et libre elle mourra!

 

Intanto Don Josè è divorato dalla gelosia, il dolore si trasforma in rabbia, il fantasma dell'altro, il rivale, si fa più concreto e dunque c'è una sola domanda:

 

Josè


Tu vas le retrouver, dis... (avec rage)
, tu l'aimes donc?

 

E la risposta di Carmen è beffarda, impavida e sprezzante e, per la seconda volta, la morte si affaccia nel concitato dialogo:

 

Carmen


Je l'aime!
 Je l'aime et devant la mort même,
 je répèterais que je l'aime! (ecco che compare la morte)

 

Insieme al dolore per l'amore perduto si affaccia nell' anima di Josè la sensazione di essere deriso dai due amanti.

 

José

 

(avec violence)

 

Ainsi, le salut de mon âme je l'aurai perdu pour que toi, pour que tu t'en ailles, infâme, 
entre ses bras rire de moi! Non, par le sang, tu n'iras pas!
 Carmen, c'est moi que tu suivras!

 

E poi la pugnalata finale.

 

In questi scambi ci sono tutte le esperienze emotive che conducono al femminicidio: dolore per la perdita, rabbia, i sentimenti di derisione. La miscela è esplosiva perché genera uno stato intollerabile. Josè sperimenta la perdita dell'amata e dell'autostima per l'umiliazione alimentata dall'idea che i due amanti si befferanno di lui. Si coglie la riattivazione di esperienze infantili nelle quali la sottrazione di un oggetto amato è stata accompagnata dalla derisione, sono forse le reincarnazioni dei genitori che abbandonato il piccolo festeggiando fra loro? È una fantasia derivata dal segreto della scena primaria che si svolge dietro la porta chiusa della camera dei genitori? È la dolorosa spiegazione che il piccolo si dà per giustificare il fatto che i genitori lo abbandonano per stare insieme, il papà rivale che sottrae la mamma ed insieme si divertono...ecco le risa che si odono provenire dalla loro stanza....

 

L'arte e la letteratura raccontano molte storie simili.
Otello che per gelosia uccide Desdemona, Gianciotto Malatesta che uccide la Francesca innamorata di Paolo, Pia de Tolomei.... Anna Bolena e Caterina Howard, due delle sei mogli di Enrico VIII, vennero da lui fatte giustiziare con l'accusa di adulterio.

 

Quando muore Carmen e, poco dopo, si chiude la scena sulla disperazione folle di don Josè, il pubblico applaude.
Il bel canto ha fatto il miracolo, ha sublimato la morte con il sigillo dell'arte.
Quanti inorridiscono per il delitto? Quanti pensano che Carmen con la sua condotta si è cercata la sua brutta fine? Quanti colgono il percorso folle della mente di Don Josè?
Quest' uomo è un'eccezione poetica.?
Ed è il caso che ha fatto incontrare Otello con Jago?
Occorre un Jago in carne ed ossa per uccidere la propria donna oppure tutti gli uomini possono nascondere un Jago dentro di sè, fatto di sospettosità di ricerca di indizi di colpevolezza alimentata da una incoercibile gelosia e dalla insicurezza circa le proprie qualità? Una parte di sè ingannatrice capace di usare tutti i trucchi per confondere la mente?
Jago è una parte scissa, pericolosa da ascoltare perchè attrae in uno stato dissociativo che modifica la realtà e la piega ad un folle disegno vendicativo.
Quando infine, consumato il delitto, la realtà si fa strada nella sua mente, Otello riconosce la sua parte scissa.


Emilia


No! Costui
 dalla mia man quel fazzoletto svelse a viva forza.


Cassio


E nella mia dimora trovai quel vel.


Montano


Rodrigo morente mi svelò di quest'uom l'arti nefande.
(entrando ed indicando Jago)


E quindi tornata la pietà e la lucida cognizione di ciò che ha fatto, Otello si avvicina al corpo di

Desdemona


E tu... come sei pallida! E stanca, e muta, e bella, pia creatura nata sotto maligna stella.
 Fredda come la casta tua vita... e in cielo assorta.
Desdemona! Desdemona!... Ah... morta!... morta!... morta!...

E si sopprime con un pugnale che teneva nascosto


Ma nè la storia nè il teatro hanno insegnato qualcosa:

Dall'inizio dell'anno 2016 a fine giugno sono stare 59 le vittime di femminicidio in Italia.

Quarantatré di questi omicidi sono avvenuti all'interno del nucleo familiare – a fronte dei 50 del gennaio-maggio 2015 – ventisette invece all'interno della coppia. Analizzando invece i dati dell'ultimo decennio, le donne uccise sono 1740: 1251 all'interno della famiglia, 846 per mano di un fidanzato e 224 assassinate da un ex. Ci troviamo di fronte ad un'ovvietà: quanto più la relazione si fa intima e ricca di emozioni, tanto più si accresce il pericolo di un'azione violenta.


 

 

L'esperienza psicoterapeutica con i pazienti borderline aveva da tempo evidenziato questo fenomeno, caratterizzato da reazioni emotive intense da parte di pazienti che, giunti al punto di considerare e sentire emotivamente significativa la figura del terapeuta, hanno iniziato a manifestare intense reazioni aggressive fatte di proteste abbandoniche, sospettosità, minacciosità, pretese inaccettabili, violazioni di confini.
Cosa accadeva e cosa accade ancora?
La spiegazione è data dal fatto che le relazioni hanno il potere di evocare stati emotivi e rappresentazioni dell'altro appartenenti a relazioni precoci che, come in un processo di semplificazione, tendono a far leggere i comportamenti e le comunicazioni dell'altro riducendolo al già noto, come molti esperimenti sulla percezione hanno dimostrato.
Il repertorio dei tipi maschili potenzialmente violenti è vasto, dalle persone che sono cresciute in un contesto nel quale i comportamenti verso le figure femminili evidenziavano la sottomissione delle stesse ai bisogni del maschio, che nei suoi modi rimaneva come un neonato che strilla e pretende che gli sia dato tutto ciò che vuole. Ogni mancata soddisfazione genera rabbia ed è inaccettabile. La qualità della relazione non matura, si mantiene ad un livello in cui l'altro e, più frequentemente, l'altra è concepito come fonte di soddisfazione dei propri desideri senza riconoscerne la dignità di persona con gli stessi diritti, soprattutto quello di tener conto dei propri bisogni. Questo mancato riconoscimento, che crea isole di totalitarismo e frantuma tutti i processi di civiltà conquistati dalle democrazie moderne, è il presupposto, il postulato di partenza, della violenza contro le donne.


Cesare Beccaria in "Dei delitti e delle pene" nel 1764 scriveva:


"Vi siano centomila uomini, ossia ventimila famiglie, ciascuna delle quali è composta di cinque persone, compreso i il capo che la rappresenta: se l'associazione è fatta per famiglie, vi saranno ventimila uomini e ottantamila schiavi; se l'associazione è di uomini, vi saranno centomila cittadini e nessuno schiavo. Nel primo caso vi sarà una repubblica e ventimila piccole monarchie che la compongono; nel secondo, non solo lo spirito repubblicano spirerà nelle piazze, ma anche nelle domestiche mura, dove sta gran parte della felicità o della miseria degli uomini."


Ciò descrive molto bene cosa accade entro le mura familiari che si configurano come un confine talvolta invalicabile dal diritto, dalla evoluzione dei costumi e della cultura.
I mattoni con cui viene costruito questo muro invalicabile sono i processi traumatici, gli abbandoni, l'incuria e la violenza subita dal bambino che diverrà adulto violento facilitato dal rappresentarsi l'altro attraverso un processo di disumanizzazione.


Scrive Felicity de Zulueta in "Dal dolore alla violenza" (Raffaello Cortina Editore, 1999):


"...Diviene chiaro che perchè si esprima la violenza debba esserci un processo cognitivo di disumanizzazione dell'altro, sostenuto dalla rabbia narcisistica del sè traumatizzato, oltre alle mai infestazioni neurofisiologiche dello sconvolgimento del sistema di attaccamento."


La disumanizzazione si esprime in due direzioni, la svalutazione fino alla riduzione a cosa o l'idealizzazione che fa della partner la dea onnipotente capace di generare gioie indicibili ed esaltanti idee sulla coppia che si forma su questo presupposto.
In entrambi i casi il pericolo è all'orizzonte perchè è facile distruggere un oggetto se non ci serve più o ci ostacola, così come la delusione prodotta da una persona idealizzata alimenta una rabbia incontenibile, perché la caduta dall'altare viene vissuta come un imperdonabile tradimento, una truffa.
Qui entra in gioco la capacità del trauma di alterare la cognizione. Presente e passato si confondono di colpo sul teatro del presente irrompe il copione cento volte vissuto nel passato, i ruoli sono chiari, la donna diventa la madre che abbandona, la madre disattenta e negligente, la madre che tradisce. Questa rappresentazione trascina con sè la spaventosa rabbia del bambino che ha subito tutto questo, senza comprenderlo, ma registrandolo in una sorta di memoria corporea di tensione preparatoria all'atto violento, che nell'infanzia non poteva essere agito per le condizioni di inferiorità e paura, ma che finalmente, ora, l'adulto può scaricare con tutta la sua forza.
A complicare la distorsione cognitiva entra in gioco anche un processo dissociativo. I bambini traumatizzati trovano nella dissociazione di parti di sè una difesa dall'angoscia che vivere situazioni di intenso disagio e vittimizzazione comportano. Si costituisce così una parte vissuta come estranea rispetto a ciò che viene soggettivamente considerato il vero sè. Questa parte contiene prevalentemente una memoria implicita degli avvenimenti traumatici e le sensazioni che da quelli sono state evocate, che fanno da innesco ad intense emozioni, non riconosciute consapevolmente. In situazioni di particolare tonalità emotiva ed evocativa di antichi traumi attraverso stimoli neutri non riconosciuti come fattori scatenati questa parte può prendere "il comando" dell'intera persona ed agire secondo la sua esperienza scissa, i dolori subiti, la vendicatività desiderata.

L'EMDR è una tecnica che può risolvere queste distorsioni dissociative prima che si sviluppi una tragedia, in questo caso avrebbe una funzione preventiva. L'ostacolo è dato, come per gran parte delle terapie, dalla difficoltà di convincere persone che frequentemente sono in sintonia con i loro agiti, di farne cogliere anche emotivamente la problematicità al fine di costituire una solida alleanza terapeutica.

Proviamo ora ad osservare il percorso della violenza:
La violenza all'interno della coppia si manifesta fin dalle prime fasi della relazione con segni che di solito non vengono valutati per le potenzialità che possono nascondere. Alcune ragazze, che in seguito sono state oggetto di violenze, raccontano di primi rapporti sessuali estorti con prepotenza, senza il minimo riguardo per la sensibilità della giovane compagna. Evidentemente si tratta di giovani maschi privi di empatia, di capacità di rappresentarsi le emozioni e le sofferenze dell'altro.
Questo deficit di empatia è alla base di una significativa distorsione del modo in cui vengono concepite le relazioni, fondate essenzialmente sullo sfruttamento dell'altro per la soddisfazione dei propri bisogni.
L' altro, in questo caso l'altra, è concepito come una persona che ha l'obbligo di soddisfare i bisogni del partner. È una prospettiva narcisistica che nel caso in cui l'obbligo al soddisfacimento venga disatteso è generatrice di intense reazioni rabbiose. Così se la giovinetta si rifiuta di contribuire al soddisfacimento del suo partner, perchè magari non si sente emotivamente pronta, iniziano i sadici ricatti (di essere abbandonata) ed in alternativa, le botte.
Questi comportamenti possono protrarsi a lungo prima che i familiari se ne avvedano, perché sono le stesse ragazze che, nella speranza di un cambiamento, tengono tutto nascosto.
Progressivamente, per evitare le ritorsioni del " fidanzatino", le ragazze tendono ad accontentare tutti i bisogni a prezzo di una perdita della stima di sé e di una visione realistica della propria storia.
Questo processo non è colto dalle ragazze nella sua gravità, favorendo una normalizzazione progressiva di comportamenti anomali.
Frequentemente si tratta di ragazze che hanno una attitudine spiccata a sperimentare sentimenti di colpa che emergono da profondi sentimenti di inadeguatezza che hanno radici nella storia familiare. Si tratta di ragazze che hanno subito negligenze ed esperienze di abbandono che non hanno saputo spiegarsi in nessun altro modo se non quello di considerarsi difettose, dunque colpevoli, di non essere sufficientemente apprezzabili.
I ragazzi hanno avuto madri succubi sia del padre che del figlio. Sono rappresentanti di una femminilità sottostimata, al servizio delle figure maschili che nel loro porsi al servizio dei figli hanno fatto mancare loro il senso dell'amore materno ed i frutti di quell'amore: il rispetto per la madre e l'empatia.
È la madre, infatti, che nella relazione con il figlio, traduce i segnali del suo corpo in parole, permettendo, a ciò che è solo sensazione fisica, di diventare parole che definiscono la sensazione generando un vocabolario affettivo, per mezzo del quale riconoscere e descrivere le emozioni. Nel complesso gioco relazionale con la madre il bambino legge nel suo volto che lei sta sperimentando ciò che lui sta vivendo, gettando le basi per rappresentarsi i sentimenti dell'altro.
Madri depresse e succubi, la cui mimica facciale si è spenta e poco comunica, madri negligenti inconsapevoli perché impegnate in altro e vivono la cura dei figli come un servizio da fare con efficienza ma senza genuina partecipazione, madri abbandonanti perchè a loro volta abbandonate, fanno mancare tutto questo ai figli predisponendo a comportamenti prefissati le relazioni dei propri figli.

Ma torniamo al tema dell'insensibilità e della mancanza di empatia da parte dei maschi e della sudditanza delle femmine.
Quando comincia il processo di vittimizzazione? Direi che inizia dagli insulti. Le parole cattive predispongono ad azioni cattive. Sono fatte per ferire e dunque rappresentano i primi passi di un percorso di violenze.
Spesso vengono considerate come inique abitudini dipendenti dal lessico familiare di appartenenza e così vengono giustificate ma questo modo di spiegare l'uso degli insulti maschera la loro essenza. Ripeto sono parole nate per ferire, ferire verbalmente, ma ferire.
Cosa deve fare una ragazza di fronte al primo insulto, interrompere la relazione?
Non dico questo, dico che deve notare la cosa, rendere consapevole il compagno del senso che ha, stimolarlo ad interrogarsi sulle intenzioni che hanno generato l'insulto ed invitarlo a lavorare su questa cosa perché può compromettere la serenità e la bontà della relazione. Soprattutto esprimere il proprio dissenso per questo modo di comportarsi.
Non tutti gli insulti preannunciano le botte ma accade con significativa frequenza che le botte siano precedute dall'abitudine di insultare.
Cerchiamo di immaginare quanto gli insulti segnalino il cambiamento della rappresentazione della propria compagna nel corso di una relazione. Tutto inizia dal corteggiamento fatto di complimenti e di parole tenere poi, un bel giorno, il primo conflitto.
È una sorta di giro di boa perchè il conflitto è il miglior terreno sul quale saggiare la qualità di una relazione. Si può confliggere con amore e rispetto oppure si può confliggere permettendo ad un magma di antiche rabbie, cieche e riferibili a qualunque oggetto che abbia una pur vaga similarità, di infrangere il sottile strato della relazione amorosa per dare nuova forma alla relazione.
Ho scritto giro di boa, meglio dire bivio, due strade, in una continua la relazione amorosa, nell'altro ramo la relazione è dominata dalla sopraffazione e dall'ostilità. Agli sfoghi di rabbia seguiranno richieste di perdono con la pretesa che tutto venga dimenticato e tutto ritorni come prima.
Anche questa modalità di richiesta di perdono è una trappola perché è senza sostanza. È una infantile richiesta di amnesia che si ritrova nei violenti e negli stalker e che sostanzialmente funziona da rinnovo delle condizioni nelle quali si è generato l'ultimo scoppio di violenza . Nelle relazioni l'unica forma di richiesta di perdono deve essere rappresentata da un cambiamento costante e significativo del comportamento. In altre parole il perdono spetta solo alla vittima e deve essere guadagnato, ammesso che vi siano le condizioni del perdono, vale a dire la completa restitutio ad integrum, altrimenti si tratta di un esercizio vuoto di significato e irrispettoso per la vittima. Alcune cose non possono e non devono essere perdonate, se il perdono è inteso, come già detto sopra, come richiesta di amnesia. È deresponsabilizzante. Naturalmente non si allude alla vendetta ma alla sana registrazione di un fatto di cui è necessario tener conto da quel momento in poi.


Il violento abbandonato


Quando il violento viene abbandonato ricorrerà alla sua fondamentale risorsa: la violenza.
Anche in questa fase la violenza caratterizzerà tutti i tentativi di relazionarsi con la vittima.
La prima maschera della violenza è l'insistenza.
Quante volte si sottovaluta il tratto violento dell'insistenza. Eppure è semplice comprenderlo.
Si tratta di indurre attraverso l'insistenza, una persona a fare una cosa che non desidera fare.
Occorre saper tradurre ciò nella sua essenza: la violenza.

Analogamente violenti sono comportamenti di segno apparentemente opposto: i tentati suicidi, strumentalizzazioni di crisi depressive, gesti autolesionistici di varia natura che allarmano la partner ed hanno lo scopo di integrare l'assedio con sentimenti di colpa.
In questi casi occorre saper guidare la vittima ad essere consapevole del disagio che questi comportamenti le generano al fine di cogliere attraverso l'effetto che producono la loro essenza violenta.
Il lavoro di sostegno con le donne oggetto di violenza si fonda sulla facilitazione della consapevolezza di quello che stanno sperimentando e sulla decifrazione dei sentimenti di colpa che eventualmente vanno sperimentando.
Naturalmente bisogna fare attenzione a non generare sentimenti di segno vendicativo nella vittima perché questo non è lo scopo del sostegno.
Lo scopo fondamentale è quello di avere una lucida visione della situazione al fine di scegliere i comportamenti più efficaci da tenere per recuperare il pieno possesso della propria libertà insieme all'allestimento di buoni dispositivi di difesa.


La consapevolezza di essere oggetto di violenza


L'essere vittime, soprattutto da parte di una persona che abbiamo creduto ci amasse, della quale abbiamo avuto fiducia, è una esperienza molto dolorosa.
Contiene il lutto per la persona che è stata amata e che ora non c'è più. Al suo posto c'è una persona violenta con le stesse sembianze che, perciò, confonde, aprendo pericolosi spazi di illusione che il perduto amore sia tornato.
Di fronte al lutto la prima reazione è di incredulità, ma la morte ben presto scioglie qualsiasi illusione avviando verso un lutto rassegnato.
Più difficile è sciogliere l'incredulità per un lutto nei confronti di una persona che non c'è più perchè si è trasformata. Le occasioni di illusione sono tante, stimolate dal nostro desiderio di annullare il dolore attraverso un annullamento della realtà che prende il nome di negazione.
Per questo motivo le vicende fanno un percorso lungo prima di venire pienamente alla luce.
Il primo aiuto da dare alle vittime di violenze è quello di attrezzarle al fine di non essere più complici con chi agisce questa violenza su di loro.
La lotta all'illusione è il primo passo, il più difficile perchè include la necessità di ottenere un cambiamento di prospettiva .
In altre parole è necessario desensibilizzare la vittima da tutto ciò che ancora la lega all' aggressore.
A questo scopo risulta utile l'impiego dell'EMDR.
Questa tecnica nasce per curare le vittime di eventi traumatici. In questo caso viene utilizzata per risolvere il lutto e per impiantare nuove risorse nella vittima al fine di favorire comportamenti difensivi più efficaci.
Quando le relazioni hanno una natura traumatica la rappresentazione dell'altro, per motivi difensivi, può non essere pienamente integrata, alcuni aspetti possono essere tenuti separati dall'intero. In occasione della comparsa dei primi atti di violenza la vittima può iniziare a difendersi dall'angoscia di questa esperienza separando i comportamenti cattivi dalla rappresentazione intera del partner. Semplificando inizia ad avere due relazioni: una con un oggetto ancora buono ed un'altra più sofferta con la parte cattiva. In certe circostanze la parte cattiva può essere tenuta lontana dal campo della coscienza al fine di mantenere una buona relazione con la parte buona. È a questa che si attaccano le illusioni e le esposizioni ai rischi perché la parte cattiva può ricomparire di colpo e comunque non dovrebbe più essere dimenticata.


Una donna, che chiameremo Anna, ancor giovane e di bell'aspetto, viene abbandonata improvvisamente dal marito che ha avviato una relazione con un'altra donna. Anna non riesce a darsi pace dichiarando che un uomo come quello che l'ha lasciata non lo troverà mai più. Sogna sempre che ritorni a casa. Alterna momenti di disperazione a momenti di rabbia. In qualche occasione dichiara che preferirebbe fosse morto, le sarebbe più facile rassegnarsi, trova intollerabile immaginarlo felice con un'altra. Come si può notare anche in una persona pacifica e non violenta come Anna è sempre stata si affaccia un desiderio di morte del marito "per trovare pace".


Ho voluto raccontare un esempio rovesciato in cui non c'è un marito violento ed una donna vittimizzata per segnalare come il desiderio che il partner abbandonante muoia può fare facilmente capolino quando una persona si sente abbandonata.
Se le esperienze precoci di una persona, che viene lasciata dal/dalla partner, sono state caratterizzate da abbandoni che hanno generato intensi sentimenti di rabbia è possibile che quel "deposito" di rabbia inondi l'esperienza attuale generando azioni molto violente, perché ora non c'è più un bambino abbandonato ed impotente di fronte a questa situazione bensì un adulto che ha più mezzi per agire.

Perché la donne maltrattate non interrompono la relazione?
È una domanda che viene posta frequentemente quando si assiste al racconto di anni di angherie.
Vi sono fattori sottili in gioco. Talvolta un clima violento non induce facilmente alla separazione perché alcune donne essendo cresciute entro un clima simile sentono questo clima come qualcosa di "familiare" ad un qualche livello del loro mondo interno. Altre che hanno vissuto in una situazione familiari dove l'ascolto dei propri bisogni non ha ricevuto legittimazione ed incentivi o è stato del tutto ignorato vivono con colpa l'occuparsi dei propri bisogni e vivono con intensi sentimenti di colpa il desiderio di separarsi. Chi ha vissuto in ambienti svantaggiati e traumatici può aver coricato il sogno del cambiamento delle figure che l'hanno tormentata rivivendo questo anelito con il proprio partner violento.
Il desiderio che l'altro cambi è uno dei lasciti fondamentali dei traumi subiti in famiglia fatto di speranze e interpretazioni di segni che alimentano l'illusione ed il rinnovo della fiducia.
Anche in questo caso non si vive nel presente. Nel presente c'è il problema e ci sono le risorse per la soluzione se queste risorse vengono liberate dai laccioli che sono stati annodati nel passato. Un trattamento ideale è rappresentato dalla Mindfulness per rendere più chiara la consapevolezza dei propri vissuti e l'adesione al presente e l'EMDR per risolvere i traumi che ancora influenzano il presente. Dalla associazione di questi interventi può svilupparsi un modo nuovo di guardare sé e gli altri con capacità di conoscere e di scegliere.